Grafica e fotografie senza parole, sono inutili per i brand.
Pensate al packaging di un prodotto, a una brochure istituzionale o a un sito web: senza testo sarebbero solo belli esteticamente, ma senza un significato preciso. Noi invece vogliamo che il nostro brand abbia un significato preciso per il nostro pubblico.
Per questo ho invitato Ester Mignani, SEO copywriter, a scrivere questo articolo su come utilizzare la parola scritta per costruire un brand.
Cristiano
[articolo scritto da Ester Mignani LaCopySeo]
La parola scritta ha un legame imprescindibile con tutto ciò che riguarda la comunicazione, ma spesso viene considerata un mezzo, non un pilastro portante dei brand. A supporto di questa tesi basti pensare a tutte quelle aziende che, parlando del proprio brand, si immaginano un logo bello grosso, dalle linee in bold e dai colori accesi, poco importa quello che c’è scritto appena sotto.
In realtà la parola scritta, sia essa il nome del brand stesso, il payoff, un post sui social, una brochure o un appunto veloce fatto a margine di un biglietto da visita, va a costruire l’identità aziendale e può essere incisiva tanto quanto fotografie e immagini.
Perché?
Perché dal nostro modo di parlare riveliamo molto di noi, dei nostri valori, della nostra storia e della nostra visione del futuro. Lo facciamo in modo inconsapevole e, proprio per questo, autentico; andando a creare un’immagine di noi che resta nella memoria dei futuri clienti.
I vantaggi di costruire un brand con la parola scritta
I guru del marketing fanno un elenco infinito di vantaggi che un brand ottiene nel momento in cui inizia a lavorare sul suo tono di voce.
Cosa penso io? Che c’è un solo e unico vantaggio: la coerenza.
Usare la parola scritta per confermare determinati valori a chi entra in contatto con il brand significa acquisire credibilità e creare legami di fiducia con i potenziali clienti, legami che saranno così forti da non poter essere rotti facilmente.
Facciamo un esempio concreto. Un’azienda che invita i suoi collaboratori a essere vicini ai suoi clienti più giovani perché lei stessa è giovane e dinamica, ma conclude le mail con “In attesa di un suo gentile riscontro” perde di credibilità. Il suo modo di parlare la smentisce, la presenta come un’azienda incoerente e finta, le fa perdere credito e innesca una reazione per cui i giovani scapperanno a gambe levate, anche se il logo è moderno e accattivante.
Sfruttare la parola scritta per creare coerenza avvicina i clienti, li fa sentire al sicuro e, se vogliamo dirla al mo’ dei guru: crea brand awareness, aumenta il divario competitivo e migliora il posizionamento di marca.
Come costruire un brand con la parola scritta
Un brand non si costruisce, c’è già in ogni azienda, dal panettiere sotto casa alla grande multinazionale.
Credo poco a chi costruisce un tono di voce e lo impone dall’alto alla sua comunicazione solo perché ritiene di avere individuato una fetta di mercato che utilizza quel tipo di parole, strutture grammaticali, tempi verbali.
Il tono di voce imposto dall’alto puzza di finto e basta poco per farlo implodere.
Se vuoi comunicare con i giovani, per tornare sull’esempio qui sopra, devi per prima cosa sentirti giovane e pensare come un giovane. Se usi espressioni amichevoli solo perché vengono imposte dal CEO, ma sei tu il primo a crederci poco, è un attimo che il “gentile riscontro” torna allo scoperto e rende il tuo brand e i suoi valori infondati.
Per costruire un brand, le aziende non devono costruire qualcosa di nuovo, ma ascoltarsi quando parlano e, se faticano a farlo, chiedere il supporto di un professionista della comunicazione per individuare il loro tono di voce.
Qual é il compito dei copy nella definizione di un brand
Quando lavoro, ripenso spesso a un articolo che avevo letto alle superiori sulla Pietà Rondanini di Michelangelo. In questo articolo si descriveva lo scultore non come un artista, ma come un “liberatore” che sentiva il richiamo dell’Arte con la A maiuscola e la liberava dalla polvere per farla risplendere.
Ecco, io mi sento un po’ così, ma senza la barba del Buonarroti. Almeno per ora
Quando vado in un’azienda faccio domande, a volte anche scomode, e ascolto le risposte che mi vengono date. Dalle risposte delle persone che lavorano in azienda emerge il tono di voce del brand e alla mia penna resta il compito di organizzare le informazioni e trasformarle in contenuti, affinandole in base al contesto dove verranno utilizzati, ma senza cambiarli.
Facciamo un esempio concreto.
Ho seguito un’azienda di consulenza per l’internazionalizzazione. Sebbene io non sia un’amante degli inglesismi, i referenti di questa realtà parlavano solo di vision, mission, soluzioni win-win, skill. Dal mio punto di vista, e non mi sono fatta remore a dirglielo, questo tipo di approccio era poco funzionale e molto impostato, ma di fondo questo era il loro modo di esprimersi.
Chi sono io per modificarlo se da parte dell’azienda non c’era interesse a cambiare?
Un altro mio cliente, invece, ha a cuore la qualità dei suoi prodotti alimentari e ogni volta che parla della sua azienda utilizza termini come genuino, salutare, controlli, e via dicendo.
Con lui sto facendo anche un’attività SEO, per cui per ogni contenuto c’è bisogno di trovare un giusto mezzo tra il tono di voce dell’azienda e le ricerche degli utenti, ma anche in questo caso non ha senso cambiare il loro modo di esprimersi.
Se un utente cerca online informazioni sui prodotti, a parte gli aspetti prettamente tecnici come i titoli o i metatag, il resto dei paragrafi degli articoli del blog usa gli stessi termini che si sentono in azienda, perché se dopo aver letto l’articolo il potenziale cliente prende in mano il telefono e chiama, deve sentirsi nel posto giusto, con persone che parlano come si esprimono sul blog.
Dove il brand si esprime con la parola scritta
Un contenuto per post social, articoli di blog, brochure, newsletter, mail interne… l’identità del brand si respira in ogni singola parola che i suoi potenziali clienti leggono o sentono. Certo, il modo di esprimersi può subire delle piccole variazioni alla luce delle mezzo scelto, un post su Instagram sarà più amichevole e un ppt per gli investitori più impostato, ma di fondo il brand deve parlare in modo coerente in ogni occasione per ottenere la fiducia che sta alla base del suo successo.
Chi dovrebbe scrivere i contenuti per un brand
In linea di massima chiunque sposi i valori del brand potrebbe scrivere i contenuti: responsabili marketing, titolari, dipendenti, consulenti.
Qui però entra in gioco la difficoltà a trovare il tempo, lo stimolo giusto per scrivere contenuti che possono essere efficaci e le competenze tecniche per creare testi ben strutturati.
Scegliere di affidarsi a dei copywriter professionisti permette di trovare quel giusto mezzo tra tono di voce del brand e richieste del mercato, tanto più se il copywriter scelto ha competenze tecniche e mastica i princìpi della SEO, vedi l’esempio dell’azienda alimentare che seguo. In alternativa si può sempre chiedere un percorso di affiancamento dove il copywriter spiega le basi della comunicazione a chi, in azienda, si farà carico della stesura dei contenti. A mio avviso entrambe le strade sono valide, si tratta solo di capire quanto un’azienda vuole investire per ottenere visibilità e credibilità.
Riassumendo:
- Un brand si compone di pensieri, parole, opere e loghi
- Con la parola scritta si può creare coerenza e acquisire credibilità
- Un brand non si costruisce, se proprio si scolpisce
- Un copywriter può fornirti le competenze tecniche per mettere nero su bianco il tono di voce del tuo brand
Sono Ester, ma online mi trovi come LaCopySeo. Curiosa per natura, mi chiedo il perché che sta dietro a ogni azienda e con la mia penna blu creo contenuti che dimostrano il valore dei brand in Rete, ne aumentano l’autorevolezza e migliorano la loro visibilità. Oltre a scrivere io stessa i contenuti, offro percorsi di affiancamento per togliere la polvere alla voce delle aziende e farla riecheggiare sul mercato.
Mi trovi su LinkedIn o sul mio blog www.dillosulweb.it